AVVERTENZA
Questa recensione contiene accenni ad argomenti sensibili, come il rapporto genitori-figli, la questione meridionale e la politica; considerato che in tempi recenti è capitato di leggere dei toni piuttosto accesi invito tutti a considerare con indulgenza quanto segue e a non sentirsi offesi da opinioni diverse dalla propria.
Altro punto: il primo “paragrafo” non ha nulla a che vedere con la recensione vera e propria e può essere saltato a piè pari da chi non è interessato a ricordi e considerazioni personali.
MIO PADRE E LA CALABRIA
Mio padre è un fisico in pensione di origine triestina, ma da quasi quarant'anni vive in Calabria: all'inizio degli anni '70 venne fondata in provincia di Cosenza l'Università della Calabria, un ateneo del tutto nuovo, costruito in una zona all'epoca ancora ampiamente rurale e boschiva, completo di un vero e proprio campus per l'alloggio di docenti e discenti alla cui realizzazione contribuirono grandi architetti. Volendo fare un inciso storico alla GROG potrei andare avanti per un numero indefinito di righe, e anche se decidessi di indulgere nell'autobiografismo: è qui infatti che ho vissuto la mia prima infanzia, all'incirca tra il 1975 e il 1978, anno in cui sono tornato nella natia Milano; molti sono gli accademici italiani di età attualmente compresa tra i sessanta e i settant'anni che in quel periodo hanno considerato l'UNICAL come una tappa obbligata del loro percorso, avvertita come più o meno piacevole, ma che l'hanno comunque abbandonata per ritornare nelle regioni d'origine o spostarsi in altre ancora. Mio padre no, egli scelse di restare a insegnare lì pur avendo la possibilità di venire a insegnare qui a Milano al Politecnico; tutto questo fu tra l'altro una delle cause non secondarie nella separazione dei miei genitori.
Per tutti gli anni '80 sono tornato regolarmente ad Arcavacata- questo il nome del paese più vicino al campus- durante le vacanze, e ho visto rapidamente cambiare la faccia della zona: quando ero bambino ho fatto in tempo a intravedere un mondo ancora veramente arcaico e rurale, appena al di là dell'enclave tutta particolare dell'università , che in quegli anni era una sorta di comune marxista allargata, il paesaggio umano cambiava completamente, per popolarsi di vedove in nero perpetuo senza età che non coglievano il rosmarino, che rigogliosissimo spunta spontaneo per ogni dove, perché pianta delle streghe. Visto che di recente è capitato di veder comparire il nome di Proust in queste pagine, dirò allora che per me il rosmarino della pianta davanti casa resterà sempre “il vero rosmarino” come “i veri biancospini” proustiani, e quindi in ogni cespuglio- spontaneo o in vaso- che incontro in giro, da cui strappo sempre qualche ago che frego sulle dita e poi metto in tasca, non ritrovo che un pallido rimando a quell'essenza dell'aromaticità che ho incontrato una volta per sempre nella mia iniziazione alla natura fatta in quei boschi tra ulivi e fichi. Oltretutto, scendendo dalla differenza assoluta e personale tra quel rosmarino originario e tutti gli altri a una meno fondamentale ma più oggettiva, non ho mai trovato in un rosmarino del nord quell'intensità bruciante di sole del rosmarino calabrese.
Negli anni '90 sono però tornato pochissime volte da quelle parti, e nel nuovo millennio non c'ero ancora mai stato, quindi trovandomi di fronte un'estate inaspettatamente libera d'impegni ho deciso di andare a trovare mio padre, che negli ultimi anni ho incontrato raramente, qui a Milano oppure a Trieste; da circa un anno si è però trasferito e non vive più nella “maisonette” universitaria della mia infanzia, bensì in un appartamento di un casermone di una qualche frazione di Rende, in quella che ora è una distesa alienante di edifici senza soluzione di continuità tra Cosenza e Quattromiglia, e che ancora trent'anni fa era la brulla e semideserta piana del Crati.
Io non ho particolari affinità con il rimpianto pasoliniano per la scomparsa del mondo tradizionale e contadino (negli anni del suo soggiorno laggiù mia madre lavorava come psicologa del tribunale dei minori, e più tardi mi raccontò alcune delle situazioni che quella società ammetteva…), però se la modernizzazione prende il volto di questa conurbazione allucinata ritmata dai centri commerciali e dai negozi di vestiti da sposa, priva di razionalità , luogo non-luogo che non è città ma certo non è più campagna, viene da ripensare con nostalgia almeno al panorama naturale, se non a quello umano.
IL POSTO
Noi ci siamo andati a pranzo l'ultimo giorno, implacabilmente arroventato come i precedenti, del mio soggiorno presso di lui, una di quelle situazioni in cui giusto l'impulso della gola può indurti a uscire di casa, in questo caso la promessa era di una cucina cosentina autenticamente tradizionale e ben preparata; nei giorni precedenti avevamo già fatto un pasto di cucina un po' più creativa a base di funghi della Sila e uno di buon pesce al mare, era dunque quello che mancava.
Comincio male: non so infatti dirvi esattamente come raggiungere Dipignano, è un paese in collina a sud di Cosenza, la trattoria è subito dopo una curva e non si nota molto, ma se riuscite a giungere al paese e chiedete a qualcuno del posto sarete sicuramente messi sulla buona strada. Vicino al locale c'è un minuscolo “posteggio clienti”, se sia per i clienti della trattoria o di qualche altro esercizio, però, non mi è chiaro.
Una volta entrati nel locale vi troverete in un paio di sale molto spartane (anche se rinnovate, hanno tolto il perlinato e ridipinto in una tinta giallina), con le pareti ricoperte di fotografie e quadretti tra cui una poesia in dialetto cosentino che esalta questo posto come oasi della convivialità e del mangiar bene. Le fotografie invece ritraggono i personaggi illustri che sono venuti a mangiare dal Cugino, grazie al fatto che questo posto è da decenni il ristorante dove si ritrova convivialmente la sinistra in provincia di Cosenza. Nelle foto infatti appaiono personaggi che vantano una notorietà internazionale, come il presidente Napolitano o il premio Nobel Dario Fo, nazionale oppure locale, compresi molti ex colleghi di mio padre: manca solo lui, che pure è cliente da anni, si lamenta; però viene da dire “chi è causa del suo mal pianga se stesso”, infatti è dagli anni '80 che ha intrapreso un allontanamento ideologico sempre crescente dalle sue originarie posizioni- cosa che oltretutto gli ha causato non pochi screzi con suoi vecchi amici e con tutta la famiglia me compreso- se non avesse scelto questo cammino oggi sarebbe sicuramente su quelle pareti.
Ad accoglierci, dirci di scegliere un tavolo e a prendere le ordinazioni viene l'anziano oste Natale, una di quelle persone che parlano con un tono estremamente pacato, lento, cortese. Una delle sue espressioni favorite mentre elenca la lista delle vivande, è “è di serie A”, detto con profonda convinzione nella voce. Un servizio gentile e abbastanza rapido (pochi i tavoli occupati, di cui uno trilingue: il capofamiglia parlava in italiano con forte accento calabrese, sua moglie invece in tedesco, il figlio prevalentemente in italiano e la moglie di questo solo in francese; il pargolo della giovane coppia non utilizzava ancora una lingua strutturata), se si vuole trovare un difetto è uno di quei posti in cui tendono a portarti più di quanto tu abbia ordinato, ma in una trattoria di questo tipo è accettabile.
IL CIBO
Questa tendenza al rimpinzamento del cliente viene fuori subito, infatti mio padre generalmente non ama gli antipasti, mentre io volevo provare qualcosa, e chiedo quindi una porzione ridotta: finirà che ci porteranno antipasti completi per due. Per prima cosa però ci mettono sul tavolo un piattino con della �nduja, probabilmente di preparazione casalinga: se non sapete cosa sia la �nduja, forse il massimo orgoglio gastronomico della Calabria, v'invito a fare prima una ricerca in internet, e poi una in un negozio di specialità alimentari di buon livello, perché vi siete persi qualcosa; io non rinuncio a servirmene a più riprese, spalmandola con grande gusto sul pane casereccio, mio padre invece si astiene, giacché più passano gli anni e più rimpiange la cucina della sua infanzia, e comincia a essere stufo dell'onnipresenza del peperoncino nella cucina calabrese.
Con gli antipasti ci portano anche il vino della casa, in bottiglia senza etichetta: il signor Natale ci dice che si tratta di un Cirò, e vanta la sua genuinità dicendo che non contiene niente che non dovrebbe; infatti ha un sapore molto arcaico, ben diverso da quello dei vini di moda adesso, dà l'idea di essere molto poco lavorato, e pur non presentando un bouquet pronunciato è affascinante nella sua alterità e va giù molto bene. Ci limiteremo alla prima bottiglia, quasi tutta finita nel mio bicchiere.
Non ricordo esattamente tutto ciò che c'era sui piatti dell'antipasto, ma di sicuro c'era del prosciutto locale, un altro salume piccante, una grossa fetta di pomodoro (quasi di sicuro di Belmonte, famosa per i suoi giganteschi e sodissimi frutti rossi) e del formaggio di pecora (“di serie A”); in vassoi comuni sono invece arrivate delle polpette fritte di forma cilindrica croccanti, asciutte e molto appetitose, e dei fiori di zucca fritti. Il tutto era semplice ma molto buono, anche se metteva una forte ipoteca sulla capacità di continuare.
Per primo, i primi piatti pare siano l'orgoglio del locale, scegliamo delle tagliatelle con i funghi, che sono piaciute moltissimo a mio padre. I pezzetti di fungo erano un po' piccoli, e il loro sapore non era molto intenso, in compenso, grazie a un ottimo olio decisamente leggero e non aspro per essere un olio del sud, legavano molto bene con le tagliatelle, che erano in effetti più simili a delle pappardelle irregolari, fatte sicuramente in casa ma senza uovo, il piatto si è lasciato mangiare con pericolosa facilità .
Finito il primo ci concediamo un attimo di pausa e di sollievo, ma l'implacabile Natale non demorde, e comincia a elencarci i secondi, quando percepisce una variazione di attenzione in mio padre alla parola “stinco”, ci prescrive uno stinco di maiale con patatine; “piccolo” gemo, senza troppa speranza, e infatti chi ha mai visto uno stinco piccolo? Questo non lo era; buono, eh, per carità … ma io cominciavo a non poterne più, mentre in mio padre è scattata la sua natura di bambino cresciuto durante la guerra, e quindi ha cercato di spolpare la bestia quanto più possibile, quando io mi ero ormai arreso. Una nota sulle patate: tagliate a mano, in una forma intermedia tra le fette e i bastoncini, non erano state cucinate con la doppia frittura e quindi non molto croccanti, però erano appetitose, nel piatto c'era anche qualche strisciolina verde, a mio parere dei piattoni, cotte insieme che “alleggerivano” il tutto; ne abbiamo comunque avanzate parecchie. Niente dolce ma frutta, anguria e due pesche per me che trovo un po' insulso quel frutto pure tanto allegro a vedersi, ancora un caffè, una grappa, di cui non serbo alcun ricordo, e abbiamo finito: saluti gentili da parte dell'oste e della cuoca al “professò”, e siamo pronti per tornare nella fornace ardente; un breve ma accaldato viaggio sino a casa, e poi un lungo riposino per digerire il cospicuo pasto.
CONTO E VALUTAZIONE
Il conto è stato di 45 euro, senza distinzione delle singole voci, penso che si tratti di un calcolo forfettario in stile Ermes, un prezzo molto buono considerato che dai tempi in cui ci venivo spesso i prezzi nella zona sono schizzati alle stelle.
Quattro cappelli è la valutazione che ho assegnato più spesso nelle mie recensioni, ma non tutti i miei quattro capelli sono uguali: ci sono i ristoranti che propongono una cucina superlativa ma a un prezzo altissimo, quelli cui non oso dare cinque cappelli perché non so giudicare sulla loro continuità , e anche posti che frequento spesso e che apprezzo molto ma di cui riconosco uno o due difetti. Qui invece si tratta per così dire di un quattro cappelli “puro”: cucina semplice, gustosa e abbondante a prezzi decisamente convenienti; nessun volo (non è quello che ci sia spetta qui), nessun picco di eccellenza assoluta, ma una trattoria da consigliare senza riserve per chi vuole gustare i robusti sapori della Calabria.
Consigliatissimo!!
[ema]
22/08/2009
Dove lo posso trovare a Modena secondo te????
Complimenti, come al solito, per la bellissima recensione